domenica 10 agosto 2008

Valutazione e mercato

Da un articolo di Giorgio Israel di qualche mese fa, traggo lo spunto per qualche riflessione sul problema della valutazione. Il problema di come (cioè secondo quali criteri) valutare l'opera di un professionista o un'attività in generale è omnipervasivo, nel senso che è costantemente presente a tutti noi quando dobbiamo scegliere, per esempio, un meccanico per l'automobile, una baby-sitter, una badante, un negozio d'arredamento o qualsiasi altra cosa. In tutti questi casi, tutti noi decidiamo, implicitamente o dopo un'analisi consapevole, per la scelta che ha ottenuto la "valutazione" più alta. Il problema della valutazione è ovviamente essenziale nel caso della pubblica amministrazione, dove i nostri governanti devono scegliere a quali professionisti affidarsi con i nostri soldi. Il caso discusso da Israel è quello della scuola pubblica, che è contemporaneamente molto importante e molto delicato. Come valutare il lavoro di maestri e professori, e come incentivarli a lavorare al meglio?

Una tentazione immediata di fronte al problema della valutazione è quella di cercare criteri quantitativi e oggettivi (i due termini vengono spesso usati come sinonimi) che permettano di valutare uniformemente e senza ambiguità tutti i diversi casi. Purtroppo, l'esistenza di simili criteri è spesso una pia illusione, ed è dubbio che esista qualcosa del genere nella stragrande maggioranza dei casi rilevanti. Anche nello sport, dove il criterio di valutazione potrebbe sembrare indiscutibile (chi taglia per primo il traguardo?), è dubbio che la valutazione sia "oggettiva" (il vincitore è il migliore? e se il secondo quel giorno aveva il raffreddore?).

Giustamente, Israel critica la presunzione di "misurare tutto" (e la cultura che la alimenta) e in particolare la valutazione del lavoro dei professionisti della scuola. Mette in guardia dai consigli di Giavazzi, che proponeva di sottoporre la pubblica amministrazione allo scrutinio degli ultimi, scientificissimi, criteri proposti da qualche ricercatore. (Giavazzi è persona intelligente e con alcune buone idee nel campo della politica economica, ma è pur sempre uomo di sinistra, cioè socialisteggiante: vittima ideale, in quanto tale, dell'hayekiana presunzione fatale). Nel rispondere ai commenti all'articolo sul suo blog, Israel scrive:
Il guaio [...] consiste nella pretesa ossessiva di voler fare valutazioni quantitative mediante griglie di parametri e di voler quantificare cose che non sono quantificabili. Si possono benissimo ideare dei sistemi di valutazione qualitativa efficaci e molto più seri di quelli quantitativi, e oltretutto trasparenti, a differenza di quelli basate su formulette e modelli ideati da gente che non si sa perché gode del beneficio della scientificità.
Verissimo. Ma a mio modesto parere, non c'è nemmeno bisogno di ideare nuovi "sistemi di valutazione qualitativa efficaci", perché ce n'è già uno che funziona benissimo, e che sospetto sia anche l'unico possibile. Questo sistema di valutazione si chiama mercato, ed è applicabile (per un liberista) a qualsiasi tipo di attività, compresa la scuola. Hayek ha speso molte pagine per mostrare che il mercato è un eccezionale mezzo di trasmissione efficiente dell'informazione, oltre che di gestione efficiente delle risorse (e, d'altra parte, l'informazione è solo una fra le risorse). In effetti, il mercato, o meglio il successo o l'insuccesso dell'imprenditore sul mercato, ci dà esattamente il tipo di valutazione di cui abbiamo bisogno: cioè, se quell'imprenditore sta o meno soddisfacendo i bisogni dei consumatori (che, nel caso della scuola, sono le famiglie e i ragazzi).

La valutazione offerta dal mercato è proprio del tipo richiesto da Israel: qualitativa e complessa, nel senso di tener conto non tanto di arbitrari parametri applicati alla singola scuola o al singolo docente, ma della bontà globale del servizio offerto. A parte tutte le classiche critiche a un sistema scolastico privato, che qui non discutiamo, questo tipo di valutazione non piace non solo ai politici e ai burocrati (per ovvie ragioni, dato che ne distrugge il primato e anzi l'utilità) ma anche a una vasta categoria di scienziati che condividono una mentalità ingegneristica (sia detto senza offesa agli ingegneri, categoria comunque anch'essa a rischio, guarda caso, di presunzione fatale, come mostrato da Hayek ne L'abuso della ragione). Per costoro, il successo di un prodotto sul mercato non ne garantisce la qualità, perché non è detto che il prodotto (sia una radio o una scuola) sia "davvero" (cioè "ingegneristicamente") fatto bene. Ma questo giudizio implica di nuovo il ricorso a una valutazione basata su criteri più o meno arbitrari (di solito definiti dagli stessi critici), che pretendono di sostituirsi a quella del vero "padrone" del mercato, il consumatore.

Per concludere lo sproloquio, non solo, come dice Israel, i tentativi di misurare la meritocrazia sono inutili e dannosi, ma l'unico modo di ottenere l'efficienza sembra essere sempre e solo il mercato. Nel caso specifico della scuola, quindi, senza l'abolizione del valore legale del titolo di studio e una vera liberalizzazione del sistema scolastico (che significa anche, però, sospendere i contributi di stato alle scuole private), difficilemente la scuola italiana potrà mai riprendersi.

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