sabato 19 aprile 2008

A quando un film sui kulaki?

Scrive bene l'ebreo Giorgio Israel nel suo bel libro Liberarsi dei demoni. Odio di sé, scientismo e relativismo (Marietti, 2006; p. 100):

Si pensi a quanti libri sono stati scritti sul totalitarismo nazifascista, a quanti romanzi, a quanti film gli sono stati dedicati. E si pensi a quanto poco è stato finora scritto sul comunismo sovietico, alla penuria di letteratura e di film sul Gulag. Gli intellettuali e gli artisti europei rifuggono con imbarazzo dal trattare questi temi, forse per evitare l'accusa di essere dei fascisti o dei reazionari. Soltanto quando avremo l'equivalente de Il pianista, de La lista di Schindler, dell'archivio di documenti sulla Shoah raccolti da Steven Spielberg, soltanto quando avremo uno Yad Vashem [museo dell'Olocausto] del Gulag, e quando avremo una letteratura che approfondisca cosa sia stato e abbia significato essere comunista in Occidente - soltanto allora potremo dire che qualcosa può cambiare in profondità nella coscienza europea.

Di fatto, il silenzio che perdura ancora sulla storia reale del comunismo russo è più ridicolo che scandaloso. Si è passati dalla disinformazione e dal negazionismo della Guerra Fredda, in un sol colpo, dopo il 1989, alla totale indifferenza, alla dimenticanza, al fastidio un po' snob di trattare storie vecchie e "ben note". A parte i vecchi mattoni libertari della Ayn Rand, credo non ci sia nemmeno un film dedicato alla Russia sovietica in una prospettiva critica. Gli spunti non mancherebbero, a partire da Una giornata di Ivan Denisovic, con cui Solzenicyn vinse il Nobel per la Lettratura nel 1970. Un libretto breve e scorrevole, non c'è bisogno di affrontare i sei volumi di Arcipelago Gulag. O l'istruttiva storia, raccontata dalle sue lettere a casa in Una piccola pietra, di Emilio Guarnaschelli, operaio comunista italiano partito per costruire la patria del socialismo e finito nel 1935 prigioniero nei gulag, dove poi morì.

Martellati fin dalle elementari sui 6 milioni di ebrei bruciati da Hitler, nulla sappiamo dei 10 milioni di kulaki (i piccoli proprietari terrieri che vennero spazzati via per far posto alla collettivizzazione delle campagne) deportati e morti nei campi di Stalin, già a partire dal 1929. Né di tutti gli altri morti dovuti alle ideologie al potere, e (rac)contati da Rummel nel suo Stati assassini.

Finché non vedremo film sui deportati russi e cinesi sotto il comunismo, difficilemente vedremo sparire, nonostante i risultati di queste elezioni, il lugubre simbolo della falce e del martello dal logo dei nostri partiti.

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