mercoledì 5 aprile 2006

Apologia di Vanna Marchi

Supponiamo che io ti offra in vendita un unicorno. Tu vieni nella stalla, trovi un somaro dipinto di bianco e con un corno di cartone attaccato in fronte con un elastico. Entusiasta, mi dai un sacco di soldi e te ne vai soddisfatto. Dov'è la truffa? La truffa c'è se io ti vendo qualcosa di contraffatto, di non funzionante, una macchina senza motore, un pacchetto col mattone al posto della radiolina.

Ma se ti vendo qualcosa che palesemente non esiste, e tutti sanno non esistere, un filtro d'amore, la pozione di longevità, la fortuna, ecc., e tu sei così coglione (come direbbe il Berlusca) da accettare, che male c'è? Gli scambi volontari, per un liberale, sono sacrosanti. I clienti di Vanna Marchi & Co. non erano, per la maggior parte, minorati mentali, incapaci di intedere e di volere. Erano e sono maggiorenni e vaccinati. Hanno comprato esattamente quello che volevano, peccato che non esistesse. Cattivi affari, ma affari loro.

Naturalmente, le minacce sono un altro affare, e per questo la Vanna e gli altri possono essere perseguiti. Ma per il resto, mi viene da essere clemente: dato che non si possono mettere fuori legge la stupidità e la superstizione, almeno che gli stupidi paghino qualcosa per esserlo.

Domanda: non so se la condanna apra la strada a un possibile risarcimento. Ma, in questo caso,
con che soldi rimborseremo i “truffati”? Non sono un mago come Vanna Marchi, ma scometterei con i nostri.