martedì 13 settembre 2011

La rivoluzione d'ottobre di Guareschi

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Camminammo in silenzio per le strade del dolce autunno milanese e ben presto arrivammo dove dovevamo arrivare.

Nel piazzale davanti alla scuola c'era gente: mamme, babbi, bambini, bambine e bidelli come nelle prime pagine di Cuore: e io ripensai all'altra volta, quando avevo portato nello stesso piazzale Albertino e poi lo avevo abbandonato ed egli era scomparso nella mandria, come un mattone nel muro.

Io sentivo nella mia mano la piccola mano tiepida della Pasionaria e vedevo le mamme ed i bimbi ed i babbi, ma non respiravo l'aria di
Cuore e non pensavo alle paroline zuccherate di Edmondo De Amicis.


Avevo la bocca piena di parole amare e le masticavo a bocca chiusa e le mandavo giù, una per una, e molte mi si fermavano in gola. Ancora una volta dunque sta per avvenire il sopruso e io dovrò lasciare la tua mano, Pasionaria, e tu andrai ad incunearti nel buchino rimasto aperto nel muro.


Dunque addio anche a te, Pasionaria: tu esci dalla mia vita ed entri nella vita dello Stato.


Ti insegneranno l'ipocrisia statale e anche i tuoi pensieri non saranno più tuoi e vedrai le cose con gli occhi del Ministero.

...

Adios, Pasionaria: lo Stato fa le strade e fa camminare le ferrovie e illumina le città, di notte, ma ci toglie la libertà, e regola i nostri atti e anche i nostri pensieri, e sempre più ci avvince nella matassa ormai inestricabile  delle sue leggi e dei suoi regolamenti, e sempre più ci trasforma in trascurabili ingranaggi di un'orrenda macchina che consuma sangue e serve solo a macinare aria.

E io che mi indigno se il treno ritarda di cinque minuti, il treno dello Stato, io ora sono pieno di amarezza perchè debbo permettere che lo Stato mi porti via la mia bambina per insegnarle l'abicì governativo.

Quale tempesta nel tenero cranio di un povero borghese che cerca di difendere la propria personalità e quella dei suoi figlioli da quel mostro che egli stesso ha contribuito a creare e che egli stesso alimenta, togliendosi il pane di bocca. Adios, Pasionaria.

* * *
Ormai le squadre si erano composte e le mamme e i padri si erano ritirati in mezzo al piazzale e i bambini erano rimasti tutti soli, addossati al muro della scuola. Mancava soltanto la Pasionaria ed io allentai le dita. In quel momento le porte si aprirono ed i bambini cominciarono ad entrare.

Un tassì era fermo all'angolo: lo raggiunsi di corsa e, spalancato lo sportello, mi buttai dentro come un sacco di patate. La macchina partì di gran carriera e navigò per le strade di Milano e puntò verso la periferia. E, quando fu davanti all'acqua azzurra dell'Idroscalo, la macchina si fermò e noi scendemmo.

Dico "scendemmo" perchè la Pasionaria era con me.

La Pasionaria era col ribelle. I viali attorno al laghetto erano pieni di sole e deserti e ci divertimmo parecchio. Ma io pensavo che a casa ci aspettava lo Stato: Margherita.

E questo mi amareggiò il divertimento. E quando a mezzogiorno tornammo, Margherita domandò alla Pasionaria com'era andata e la Pasionaria rispose che era andato tutto bene, che la signora maestra era buona, eccetera eccetera.

Poi mi guardò strizzandomi l'occhio perchè si era stabilito che lei avrebbe dovuto dire questo e quest'altro, e così, con una strizzatina d'occhio, finì la mia rivoluzione d'ottobre.