venerdì 15 agosto 2008

E se la Cainero fondasse l'AINA?

E chi sarebbe la Cainero? Chiara Cainero è la tiratrice friulana (30 anni, nella foto) che ha appena vinto la medaglia d'oro per il tiro a volo alle Olimpiadi. E che sarebbe l'AINA? L'AINA me la sono inventata io, sta per Associazione Italiana Nazionale Armi, e sarebbe l'equivalente della National Rifle Association americana, presieduta fino alla morte da Charlton Heston. Si dovrebbe occupare di diffondere in Italia la cultura e l'uso delle armi, in particolare delle armi da fuoco, a tutti i livelli, non solo quello sportivo.

Si dà il caso che l'attuale medagliere italiano conti 13 medaglie, di cui 10 in discipline per così dire "marziali" (tiro col fucile e con l'arco, scherma e lotte varie). Per giunta, dei sei ori quattro sono donne, fra cui una tiratrice (Cainero), una schermidore (Vezzali) e una lottatrice (Quintavalle). Se tutte queste cultrici delle arti belliche si unissero in associazione (naturalmente senza finanziamenti pubblici), assieme a tutti i colleghi maschi e femmine, potrebbero formare una piccola lobby e portare avanti un bel programma politico di questo tipo:
  • detassazione dei premi olimpici (non c'entra con le armi, ma detassare fa sempre bene!);
  • liberalizzazione della vendita, del porto e dell'uso delle armi;
  • promozione della campagna per la sicurezza urbana femminile (e non solo) intitolata "Una pistola in ogni borsetta";
  • varie ed eventuali.
Se vogliono, io posso pensare alle varie ed eventuali.

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mercoledì 13 agosto 2008

Breve scambio con Israel

Un mio breve scambio con Giorgio Israel seguito ai miei commenti sul suo blog, tema di un mio post di qualche giorno fa.

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lunedì 11 agosto 2008

Ricolfi sul "razzismo etico" della sinistra

Segnalo una buona recensione di Fausto Carioti al best seller di Luca Ricolfi (sociologo di sinistra), Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori (Longanesi 2005), argomento ripreso recentemente anche dal sempre ottimo Giorgio Israel.

In sintesi, ecco i peccati capitali della sinistra raccontati nel libro, ormai vecchiotto per un pamphlet ma ovviamente del tutto attuale, nel riassunto di Carioti:

1) L'abuso di schemi secondari. Quelle che Karl Popper chiamava ipotesi ad hoc,
le scappatoie contro l'evidenza empirica. Le "scuse", insomma, con cui giustificare i fallimenti delle proprie ideologie dinanzi agli altri e - soprattutto - a se stessi. A destra «non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all'immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti - povertà, lavori forzati, repressione del dissenso - e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall'Unione sovietica
alla Cina e a Cuba».

2) La paura delle parole. Una malattia nata negli anni Settanta negli Stati Uniti, dai movimenti di contestazione, che oggi impone agli individui di non parlare come vogliono. Detta altrimenti, la dittatura del politicamente corretto. Quella per cui i ciechi prima sono diventati non vedenti, quindi otticamente svantaggiati, senza che la loro vista nel frattempo migliorasse. Dittatura che ha condannato a morte parole di per sé innocenti, come vecchio (anziano), donna di servizio (colf), negro (afroamericano), spazzino (operatore ecologico). Così facendo, però, nota Ricolfi, la sinistra si è messa contro il senso comune della gente, che almeno in privato continua a chiamare le cose con il loro nome "vero": cieco, vecchio, spazzino...

3) Il linguaggio codificato. Vuol dire che quando quelli di sinistra parlano o annunciano i loro programmi la gente comune non ci capisce una mazza. Usano un linguaggio «legnoso, infarcito di formule astratte». Berlusconi, piaccia o non piaccia, usa le parole per spiegare concetti; la sinistra usa le parole per nasconderli. A chi? Ai suoi stessi esponenti: «Il problema della sinistra è che il suo discorso è indicibile, perché se fosse detto farebbe saltare l'alleanza. [...] Non è il nemico che non deve capire, ma sono "i nostri" che non devono ricevere segnali precisi. Se tali segnali venissero emessi, addio Ulivo, addio Fed, addio Gad, addio Unione, addio "unità delle forze produttive"». Insomma, sono costretti a non dirsi la verità a vicenda. Il giorno in cui ognuno a sinistra dovesse dire quello che vuole fare veramente una volta al governo (sulle tasse, le pensioni, la spesa pubblica, etc) l'alleanza finirebbe.

4) Il complesso di superiorità etica. Ovvero la forma di razzismo di cui sopra. Bandiera di Micromega, rivista che rifiuta il concetto di scontro di civiltà con Islam, ma non si fa scrupoli di applicarlo al conflitto tra "le due Italie": quella dei "giusti" contro l'Italia della barbarie. A sinistra c'è una casistica sterminata in materia. Il migliore esempio è l'appello pubblicato da Umberto Eco su Repubblica prima del voto del 13 maggio 2001, nel quale l'elettorato di centrodestra è diviso in due. Dell'Elettorato Motivato fanno parte «il leghista delirante», «l'ex fascista», quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Sono «coloro che aderiscono al Polo per effettiva convinzione» e non cambieranno mai idea. Il resto degli elettori di centrodestra fanno parte dell'Elettorato Affascinato, composto per Eco da «chi non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi
quotidiani e pochissimi libri», persone che «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina». Delinquenti e gente in malafede, dunque, assieme a poveri ignoranti cresciuti a pane, calcio e telenovelas. Gente che nella democrazia di Eco non pare avere diritto di piena cittadinanza, ma solo uno
status di appartenenza inferiore.

Tutto tristemente vero.

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domenica 10 agosto 2008

Valutazione e mercato

Da un articolo di Giorgio Israel di qualche mese fa, traggo lo spunto per qualche riflessione sul problema della valutazione. Il problema di come (cioè secondo quali criteri) valutare l'opera di un professionista o un'attività in generale è omnipervasivo, nel senso che è costantemente presente a tutti noi quando dobbiamo scegliere, per esempio, un meccanico per l'automobile, una baby-sitter, una badante, un negozio d'arredamento o qualsiasi altra cosa. In tutti questi casi, tutti noi decidiamo, implicitamente o dopo un'analisi consapevole, per la scelta che ha ottenuto la "valutazione" più alta. Il problema della valutazione è ovviamente essenziale nel caso della pubblica amministrazione, dove i nostri governanti devono scegliere a quali professionisti affidarsi con i nostri soldi. Il caso discusso da Israel è quello della scuola pubblica, che è contemporaneamente molto importante e molto delicato. Come valutare il lavoro di maestri e professori, e come incentivarli a lavorare al meglio?

Una tentazione immediata di fronte al problema della valutazione è quella di cercare criteri quantitativi e oggettivi (i due termini vengono spesso usati come sinonimi) che permettano di valutare uniformemente e senza ambiguità tutti i diversi casi. Purtroppo, l'esistenza di simili criteri è spesso una pia illusione, ed è dubbio che esista qualcosa del genere nella stragrande maggioranza dei casi rilevanti. Anche nello sport, dove il criterio di valutazione potrebbe sembrare indiscutibile (chi taglia per primo il traguardo?), è dubbio che la valutazione sia "oggettiva" (il vincitore è il migliore? e se il secondo quel giorno aveva il raffreddore?).

Giustamente, Israel critica la presunzione di "misurare tutto" (e la cultura che la alimenta) e in particolare la valutazione del lavoro dei professionisti della scuola. Mette in guardia dai consigli di Giavazzi, che proponeva di sottoporre la pubblica amministrazione allo scrutinio degli ultimi, scientificissimi, criteri proposti da qualche ricercatore. (Giavazzi è persona intelligente e con alcune buone idee nel campo della politica economica, ma è pur sempre uomo di sinistra, cioè socialisteggiante: vittima ideale, in quanto tale, dell'hayekiana presunzione fatale). Nel rispondere ai commenti all'articolo sul suo blog, Israel scrive:
Il guaio [...] consiste nella pretesa ossessiva di voler fare valutazioni quantitative mediante griglie di parametri e di voler quantificare cose che non sono quantificabili. Si possono benissimo ideare dei sistemi di valutazione qualitativa efficaci e molto più seri di quelli quantitativi, e oltretutto trasparenti, a differenza di quelli basate su formulette e modelli ideati da gente che non si sa perché gode del beneficio della scientificità.
Verissimo. Ma a mio modesto parere, non c'è nemmeno bisogno di ideare nuovi "sistemi di valutazione qualitativa efficaci", perché ce n'è già uno che funziona benissimo, e che sospetto sia anche l'unico possibile. Questo sistema di valutazione si chiama mercato, ed è applicabile (per un liberista) a qualsiasi tipo di attività, compresa la scuola. Hayek ha speso molte pagine per mostrare che il mercato è un eccezionale mezzo di trasmissione efficiente dell'informazione, oltre che di gestione efficiente delle risorse (e, d'altra parte, l'informazione è solo una fra le risorse). In effetti, il mercato, o meglio il successo o l'insuccesso dell'imprenditore sul mercato, ci dà esattamente il tipo di valutazione di cui abbiamo bisogno: cioè, se quell'imprenditore sta o meno soddisfacendo i bisogni dei consumatori (che, nel caso della scuola, sono le famiglie e i ragazzi).

La valutazione offerta dal mercato è proprio del tipo richiesto da Israel: qualitativa e complessa, nel senso di tener conto non tanto di arbitrari parametri applicati alla singola scuola o al singolo docente, ma della bontà globale del servizio offerto. A parte tutte le classiche critiche a un sistema scolastico privato, che qui non discutiamo, questo tipo di valutazione non piace non solo ai politici e ai burocrati (per ovvie ragioni, dato che ne distrugge il primato e anzi l'utilità) ma anche a una vasta categoria di scienziati che condividono una mentalità ingegneristica (sia detto senza offesa agli ingegneri, categoria comunque anch'essa a rischio, guarda caso, di presunzione fatale, come mostrato da Hayek ne L'abuso della ragione). Per costoro, il successo di un prodotto sul mercato non ne garantisce la qualità, perché non è detto che il prodotto (sia una radio o una scuola) sia "davvero" (cioè "ingegneristicamente") fatto bene. Ma questo giudizio implica di nuovo il ricorso a una valutazione basata su criteri più o meno arbitrari (di solito definiti dagli stessi critici), che pretendono di sostituirsi a quella del vero "padrone" del mercato, il consumatore.

Per concludere lo sproloquio, non solo, come dice Israel, i tentativi di misurare la meritocrazia sono inutili e dannosi, ma l'unico modo di ottenere l'efficienza sembra essere sempre e solo il mercato. Nel caso specifico della scuola, quindi, senza l'abolizione del valore legale del titolo di studio e una vera liberalizzazione del sistema scolastico (che significa anche, però, sospendere i contributi di stato alle scuole private), difficilemente la scuola italiana potrà mai riprendersi.

venerdì 8 agosto 2008

Tabelline e poesie a memoria

Questo il sunto delle proposte retrò del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, 35 anni, in un bell'articolo su Il Foglio. La Gelmini mostra di avere alcune buone idee (assieme ad altre discutibili), che ruotano tutte attorno al riconoscimento del problema centrale: la scuola, che una volta era il luogo in cui si imparava (cioè si assumevano le tanto vituperate nozioni), è diventata una sorta di parcheggio per eterni bambini, che dovrebbe sostituire le famiglie nel loro compito essenziale, l'educazione dei figli. Intento chiaramente irrangiungibile e quindi sforzo dannoso e inutile.

Ho il forte sospetto che la scuola italiana sia irriformabile. Tuttavia, per provarci, è bene avere alcune idee di base chiare. La Gelmini sembra averne alcune.

lunedì 4 agosto 2008

Morto Solzenicyn

E' morto ieri Aleksandr Solzenicyn, l'autore di Arcipelago Gulag.

Interessante breve intervista su di lui a Richard Pipes.