mercoledì 30 aprile 2008

Il salutismo fa male

Dalla cronaca del 18 aprile:

Gregorio Iuzzolino, l´omicida-suicida, da alcuni giorni rifiutava di andare a pranzo e a cena a casa della sorella. Si era sottoposto nei giorni scorsi ad analisi del sangue e alcuni valori come le transaminasi e i trigliceridi risultavano al di sopra della norma. Come pure la pressione sanguigna.
Gli avevano consigliato di non esagerare con l´alimentazione, ma soprattutto di bere di meno. Forse saranno stati anche la sorella ed il cognato ad invitarlo a seguire una dieta piu´ misurata. Sta di fatto che l´uomo non ha accettato i consigli. Da qui la decisione di non andare piu´ a pranzare a casa della sorella, che abita proprio vicino alla sua abitazione rurale. E nella sera, dopo l´ennesimo litigio si e´verificata la tragedia. Iuzzolino ha imbracciato il fucile semiautomatico calibro 12, mirando prima alla sorella e poi al cognato. Due colpi hanno raggiunta Antonia al petto, altri due hanno centrato Giuseppe Ianniello al torace e alla mano. Iuzzolino a quel punto preso dal rimorso si e´ recato nella sua abitazione dove ha posto fine alla sua esistenza.
Tre morti sulla coscienza dei dietologi?

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giovedì 24 aprile 2008

In her shoes (* e mezzo)

Di buono c'è Cameron Diaz, che, anche se un po' magrina, è brava a fare la sorella stronza, ad andare in giro mezza nuda e anche a fare la dislessica, tutto sommato.

Di cattivo c'è che dura due ore di cui ne bastava una, che si piange quanto si ride, che la storia è quella, tutta al femminile, di due sorelle senza più la mamma matta che ritrovano la nonna perduta; i maschi sono o stronzi o un po' nerd.

Avevo pensato di dare due stelle al regista, perché non si lascia scappare neanche un lieto fine (le due fanno pace fra loro, con se stesse, col mondo; il padre con la nonna; il fidanzato con la fidanzata; la scapestrata mette la testa a posto; lo stronzo diventa quasi buono; ecc.), a parte uno che sarebbe stato eccessivo. Ma poi, visto ieri sera, già ne ho dimenticata metà, quindi...

Chi ci perde col tabacco sloveno?

Vale la pena leggere per intero, anche perché è molto breve, questo comunicato stampa, che riporta il grido di allarme dei tabaccai di Trieste e Gorizia che, dopo l'apertura completa del confine con la Slovenia di pochi mesi fa, hanno visto scappare molti clienti, che vanno a comprarsi sigarette e tabacco in Slovenia.

Vale la pena leggerselo perché è un piccolo caso da manuale per capire i danni che provoca lo stato e la tassazione sul libero commercio e la convivenza civile. Di seguito qualche osservazione e alcuni passi del comunicato commentati.

Come riconosciuto dagli stessi tabaccai, il problema è fiscale:
La diversa imposizione fiscale sui tabacchi in Italia ed in Slovenia alimenta una fuga dei consumatori verso il mercato di questo Paese che ha ormai portato al limite della sopravvivenza la redditività delle tabaccherie di Trieste e Gorizia.
A parte l'esagerazione della "sopravvivenza", le tasse italiane sul tabacco sono in effetti mostruose, superiori anche a quelle sulla benzina, e pari a circa il 75% del prodotto. In altre parole, su un pacchetto di 20 sigarette, 15 se le fuma lo stato. Ai tabaccai spetta il 10% (2 sigarette) e al produttore il 15%. (Si veda l'interessante articolo a cura della British American Tobacco Italia, che spiega anche come pure in questo caso, esattamente come per la benzina, paghiamo le tasse sulle tasse.)

Ora, individuato il problema, ci si aspetterebbe che lamentele e proposte si indirizzassero a quello. Invece, la Federazione Italiana Tabaccai non si lamenta affatto delle tasse troppo alte, anzi. Prima attacca la solita solfa di tutti i protezionisti, lasciando intendere che il tabacco sloveno sia cattivo, e strizza l'occhio ai salutisti:
Non bisogna poi nascondersi –...– che in questo modo transitano attraverso la frontiera con la Slovenia anche prodotti di dubbia provenienza e contraffatti. Ancora di più, in questo caso, il danno non è solo per i tabaccai, ma anche e soprattutto per la salute dei cittadini...
come se il fumatore non fosse in grado di accorgersene, o non gli andasse bene così (dopotutto, se invece di scendere sotto casa prende la macchina e va in Slovenia, evidentemente il tabacco sloveno gli va bene).

Poi, scopre le carte e va al cuore di quel che le interessa. Innanzi tutto,
il danno non è solo per i tabaccai, ma anche e soprattutto ... per lo Stato per il quale la categoria che rappresento è il maggior collettore di imposte.
Non solo, quindi, la FTI non si lamenta con lo stato per le tasse eccessive, le limitazioni alla vendita e per il fatto di essere ridotta sostanzialmente a una succursale dell'Agenzia delle Entrate, ma tenta di ingraziarselo facendo notare che se loro non vendono tabacco italiano, lo stato ci perde le tasse, che vanno a ingrassare gli sloveni.

La soluzione? Inevitabilmente,
un pacchetto di norme che vada incontro alle esigenze della categoria e che riconosca un aggio compensativo alle rivendite della Regione che hanno registrato una contrazione dei propri redditi.
In altre parole, nuove leggi limitative e soprattutto nuove tasse con cui ricompensare i tabaccai in perdita a danno dei fumatori.

Vale forse la pena ragionare su quale dovrebbe essere la vera soluzione. In una situazione economicamente normale e politicamente civile, il commercio di tabacco, come quello di qualsiasi altro bene, dovrebbe essere interamente libero. Anche se gravato da tasse, dovrebbe essere libero nel senso che venditore e acquirente, produttore e consumatore, si possono incontrare dove loro meglio aggrada. L'apertura di una frontiera è quindi sempre da salutare come un'ottima cosa. Se a questo segue una "fuga" dei consumatori italiani verso i produttori sloveni, e questa fuga è chiaramente fiscale, la FTI dovrebbe lamentarsi con lo stato italiano e tentare di abbassare le tasse sul tabacco (e quindi il prezzo del pacchetto), non chiedergli aiuto per difendersi dalla concorrenza slovena.

La soffocante presenza dello stato in campo economico, invece, fa sì che il riflesso condizionato di qualsiasi associazione di produttori, sia immediatamente la corsa alla prebende di stato, che in termini pratici si traducono in tasse più alte (per aumentarne la quota dovuta ai tabaccai-esattori in perdita) e/o in dazi protettivi (cioè nella limitazione per legge o nella messa al bando del prodotto straniero). Il risultato, come al solito, è una perdita netta sia per il consumatore (sotto forma di un aumento di prezzo) sia per la società nel suo complesso (sotto forma di aumento dell'inefficienza economica, della fiscalità e della mentalità clientelare). L'unico a non perderci mai è lo stato, cioè una classe burocratica parassitaria che di tasse, inefficienza e clientele ci vive alle spalle di tutti.

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C'era una volta il Che

Segnalo il nuovo libro di Leonardo Facco, C'era una volta il Che, dedicato alla demolizione del mito di "Che" Guevara. Facco è l'editore libertario di Treviglio (Bergamo) e l'A.D. del Movimento Libertario, ma scrive anche libri, soprattutto sul Sud America che conosce molto bene.

Non l'ho ancora letto, ma andava segnalato!

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martedì 22 aprile 2008

Sapori e dissapori **

Per non perdere i miei lettori, sempre più esigenti, inauguro da oggi una rubrica dedicata alla critica cinematografica. Premetto che guardo pochi film, e, fra questi, pochissimi al cinema, pochi in TV e qualcuno di più in DVD. Quindi nessun stupore se recensisco un film dell'80, per dire.
Per ogni film, riporto il titolo con collegamento all'ottimo sito MyMovies.it, che contiene tutti i film immaginabili e recensioni varie, anche tratte dai dizionari dei miei imitatori più famosi (e costosi), come il Morandini (un po' fighino, tendenzialmente comunistoide) e il Farinotti (credo di orientamento cattolico, quindi immagino cattocomunistoide). Di fianco al titolo, come d'uso, le stelline di gradimento, da zero (°) a cinque (*****) con eventuali "mezzi" (per esempio: ** e mezzo). Segue breve recensione.

Iniziamo con Sapori e dissapori. Per i 2 euro scarsi e avendo la videoteca sotto casa, può anche valer la pena per far contenta la donna. Per il resto, trama del tutto scontata, prevedibile scena per scena. C'è anche una bambina orfana (allarme rosso! film da evitare a tutti i costi!) ma non disturba troppo. La Caterina Zeta-Jones è un po' sciupata. Simpatichino lui, interessanti i piatti (loro sono due cuochi). Unica cosa curiosa, i tanti riferimenti italiani, dal tartufo al vino, Modena e Bologna e la colonna sonora operistica. Guardabile per passare un paio d'ore se proprio non c'è niente di meglio da fare.

Fine.

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domenica 20 aprile 2008

Mercenari

Scopro in questi giorni che Salvatore Stefio, uno dei compagni di prigionia di Quattrocchi, è sotto processo sostanzialmente per aver combattuto, da italiano, per uno stato straniero (la coalizione anglo-americana in Iraq). Da quel poco che ho letto, è lecito sospettare che l'accusa sia da un lato un modo per farsi pubblicità da parte del magistrato di Bari e dall'altro un modo per attaccare un personaggio che certo non nasconde le sue simpatie vetero-destrorse (vedi il suo blog), con spunti di "cristianesimo" sbandierato.

Ma, al di là dell'episodio e del personaggio, sono curiose le reazioni e i commenti dei lettori e dei commentatori (a titolo d'esempio, si vedano quelli sul blog di Stefio a questo post). Seguendo la regola ormai aurea di giudicare le persone dai loro avversari, Stefio certo non ci perde, nel confronto. Quello che però mi incuriosisce è soprattutto l'ostilità che quasi tutti i critici mostrano per i mercenari, e l'accezione negativa e offensiva che il termine "mercenario" sembra aver unanimemente assunto.

Da un punto di vista liberale, esistono sostanzialmente due modi leciti di fare la guerra. Il primo è la cosiddetta guerriglia, in cui la popolazione armata (dovrebbe essere sempre tale!) difende le proprie famiglie, le proprie case e il proprio territorio. Il secondo (che non esclude il primo, e viceversa) è assoldare mercernari che combattano per te. Il fatto che i mercenari siano assunti nella popolazione o meno, cioè siano italiani o meno, non importa. Naturalmente esiste un terzo modo, che è quello che hanno in mente i critici dei mercenari. E' il cosiddetto "esercito nazionale", per cui un certo numero di persone della popolazione viene obbligatoriamente arruolato per difendere "la nazione" ("la patria"). Naturalmente, siamo abituati a pensare che questo sia l'unico modo, e il più nobile, di fare la guerra.

Tuttavia, occorre notare almeno due cose. Primo, che storicamente l'esercito nazionale nasce sostanzialmente con Napoleone, cioè con l'affermarsi definitivo degli "Stati-nazione", che cominciano a consolidarsi nel '600 e prima non esistevano. Secondo, che con l'eliminazione della leva obbligatoria, i nostri soldati "di professione" sono di fatto mercenari, con l'unica differenza che vengono assoldati solo fra cittadini italiani. Che questo garantisca vantaggi a livello strategico e militare è cosa abbastanza comunemente creduta ma penso anche discutibile. Non sono proprio sicuro che se, per fare un esempio, viene invasa la Puglia, un mercenario veneto la sappia o la voglia difendere meglio di un mercenario tedesco o svedese. Forse è così, forse no.

A parte tutto questo, e a parte molti discorsi interessanti che si potrebbero fare sulla storia e la teoria della guerra e dell'esercito (argomento di cui vorrei leggere prima o poi qualcosa), ho la netta impressione che l'antipatia istintiva che molti di noi provano per il mercenario sia un caso particolare dell'antipatia che proviamo per il mercato e per chi fa qualcosa "solo per i soldi". In realtà, questo è probabilmente solo un esempio di quella che Mises chiamava "la mentalità anti-capitalistica".

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sabato 19 aprile 2008

A quando un film sui kulaki?

Scrive bene l'ebreo Giorgio Israel nel suo bel libro Liberarsi dei demoni. Odio di sé, scientismo e relativismo (Marietti, 2006; p. 100):

Si pensi a quanti libri sono stati scritti sul totalitarismo nazifascista, a quanti romanzi, a quanti film gli sono stati dedicati. E si pensi a quanto poco è stato finora scritto sul comunismo sovietico, alla penuria di letteratura e di film sul Gulag. Gli intellettuali e gli artisti europei rifuggono con imbarazzo dal trattare questi temi, forse per evitare l'accusa di essere dei fascisti o dei reazionari. Soltanto quando avremo l'equivalente de Il pianista, de La lista di Schindler, dell'archivio di documenti sulla Shoah raccolti da Steven Spielberg, soltanto quando avremo uno Yad Vashem [museo dell'Olocausto] del Gulag, e quando avremo una letteratura che approfondisca cosa sia stato e abbia significato essere comunista in Occidente - soltanto allora potremo dire che qualcosa può cambiare in profondità nella coscienza europea.

Di fatto, il silenzio che perdura ancora sulla storia reale del comunismo russo è più ridicolo che scandaloso. Si è passati dalla disinformazione e dal negazionismo della Guerra Fredda, in un sol colpo, dopo il 1989, alla totale indifferenza, alla dimenticanza, al fastidio un po' snob di trattare storie vecchie e "ben note". A parte i vecchi mattoni libertari della Ayn Rand, credo non ci sia nemmeno un film dedicato alla Russia sovietica in una prospettiva critica. Gli spunti non mancherebbero, a partire da Una giornata di Ivan Denisovic, con cui Solzenicyn vinse il Nobel per la Lettratura nel 1970. Un libretto breve e scorrevole, non c'è bisogno di affrontare i sei volumi di Arcipelago Gulag. O l'istruttiva storia, raccontata dalle sue lettere a casa in Una piccola pietra, di Emilio Guarnaschelli, operaio comunista italiano partito per costruire la patria del socialismo e finito nel 1935 prigioniero nei gulag, dove poi morì.

Martellati fin dalle elementari sui 6 milioni di ebrei bruciati da Hitler, nulla sappiamo dei 10 milioni di kulaki (i piccoli proprietari terrieri che vennero spazzati via per far posto alla collettivizzazione delle campagne) deportati e morti nei campi di Stalin, già a partire dal 1929. Né di tutti gli altri morti dovuti alle ideologie al potere, e (rac)contati da Rummel nel suo Stati assassini.

Finché non vedremo film sui deportati russi e cinesi sotto il comunismo, difficilemente vedremo sparire, nonostante i risultati di queste elezioni, il lugubre simbolo della falce e del martello dal logo dei nostri partiti.

mercoledì 16 aprile 2008

Mises dixit!

Grazie ai potenti mezzi del Mises Institute, ecco a voi (sulla vostra destra, sotto il prezzo dell'oro) un generatore casuale di citazioni del Nostro!

Ricordo anche la raccolta di citazioni (sempre in inglese) di Mises scaricabile qui.

martedì 8 aprile 2008

Grande Charlton!

Segnalo questo commento di Carlo Stagnaro sulla morte di Charlton Heston, che non sapevo fosse il presidente della National Rifle Association, che si batte per "la nostra prima libertà", il diritto di portare armi.

Ricordo che di Stagnaro si può leggere in rete il bell'articolo Una società armata è una società libera (oltre che educata!) e la traduzione di un breve saggio del libertario canadese Pierre Lemieux, Il diritto di dormire e di portare armi. Carlo ha anche curato un piccolo libro dal titolo geniale: Io sparo che me la cavo, qui recensito da Alberto Mingardi.

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Finalmente, i lavoratori contro i sindacati

Che le cose stiano cambiando? Che i cosiddetti "lavoratori" si stiano finalmente svegliando, e comincino a capire cosa ormai siano diventati i sindacati?

Imparo oggi che tal Gianluca Morale, uno steward di Alitalia, sta guidando da quattro giorni uno sciopero della fame, assieme ad altre 200 persone, contro la rottura della trattativa con AirFrance, cioè a favore di un piano che prevede circa 2000 esuberi. (Intanto Pantalone, cioè lo stato, cioè noi, regala 150 milioni di euro ad Alitalia, tanto per non cambiare.)


Buone notizie, come quella della pubblicazione di un nuovo libro, L'altra casta, scritto dal giornalista Livadiotti e oggetto di una interessante recensione sul Corriere. Che racconta l'orrenda situazione dei sindacati (privilegi, strapotere, dannosità) e l'ormai notevole sfiducia che sempre più lavoratori provano verso queste organizzazioni. Che, incapaci di promuovere il famigerato "interesse di categoria", sono ormai una piccola cricca di sindacalisti e vecchi iscritti, che godono ai danni di tutti gli altri, lavoratori compresi. Nulla di nuovo, per chi abbia letto qualche riga di Mises, che già negli anni Venti (!) denunciava la degenerazione del sindacato e l'impossibilità di modificare in meglio, con la forza, l'equilibrio del mercato.

Dopo ottant'anni, è forse l'ora di cominciare a ragionarci sopra.

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